Deep contro Heard

Neruda scrisse: “Amare è così breve, dimenticare è così lungo”. Tuttavia, dimenticare una storia in cui l’amore c’entra ben poco risulta ugualmente un’impresa, soprattutto se rischia d’intaccare quell’ideale immaginifico che Amber Heard e Johnny Depp hanno tentato di costruirsi. E così, come dei Truman Burbank smaniosi di vivere una realtà metafilmica, le due star spettacolarizzano la loro esistenza di coppia in uno dei processi più mediatici di sempre.
Questa battaglia legale, infatti, si trasforma in un ring filmico a cui nessun sceneggiatore avrebbe mai potuto pensare.
Ciò perché nessun avvocato – né della difesa, né dell’accusa – si focalizza sull’esplorare in profondità le personalità di Depp e Heard, o sull’analizzare i gravi temi che hanno portato alla separazione. Qui non c’è nessun arco redentivo che possa svilupparsi, nessuna assoluzione che tenga. È solo la gogna mediatica a dover vincere sulla giustizia, sulla verità.
E, in effetti, il documentario sottolinea tale aspetto eviscerando il circolo vizioso che si è andato a creare attorno a questa farsa.
Il mondo della transmedialità è penetrato violentemente nella realtà privata degli ex coniugi, distruggendola. Come hooligans accecati dall’ultimo tweet, il popolo si è innalzato a giudice supremo, parteggiando con ferocia per l’uno o per l’altra. Questo processo è l’immagine infelice della società liquida odierna.
Occorre sperare che ci possa essere un uomo pronto a uscire da questa caverna platonica fatta di flash accecanti per svegliare gli altri. Un documentario adatto a un pubblico +18.