Sly

Dietro ogni eroe si cela un uomo e nel mito di Sylvester Stallone si nasconde Sly. In un confine labile dove l’immagine della pellicola cerca di apporre un filtro sulla realtà più nebulosa, Stallone si auto-confessa in questo documentario intimo e onesto.
Sly supera qualsiasi eroe cinematografico mai realizzato nella sua carriera, disvelando ciò che più lo ha mosso durante la sua vita: imporre il suo credo morale in mezzo a un sistema cieco dove a primeggiare vi è solo il profitto, il successo e non l’amore.
Stallone, dall’alto della sua venerata carriera, decide di compiere quest’ultimo viaggio narrativo, in pieno stile da romanzo americano, dove le ombre esistenziali non vengono nascoste, bensì illuminate, colorate di una consapevolezza nutrita da una nuova accondiscendente comprensibilità.
Sly si perdona, perdona e chiede perdono per ciò che è stato, ciò che non è stato e per ciò che sarà. Lo Stallone del documentario è un ritratto maturo e riuscito di un uomo di successo, dove il successo deve essere inteso come un’affermazione morale esistenziale.
Indipendentemente dall’ambiente violento e oscuro della sua infanzia, Sly ha intravisto la vetta, pur sapendo di doverla affrontare da solo, ma quella solitudine, diventata così formativa, si è trasformata nella sua forza, nel suo tratto distintivo. Sly è un underdog* che si è rifugiato nel cinema con personaggi come Rocky e Rambo per provare a ottenere una possibilità; un assenso che può essere definibile come la “ricerca”, la richiesta di pressoché l’intera umanità. Un’opera avvincente, capace di commuovere. Adatta a tutti.