Rustin

Non è mai facile riassumere una vita in 90 minuti. Eppure, “Rustin” è riuscito nell’impresa. Il film racconta la storia di Bayard Rustin, un uomo di colore, omosessuale, nonché attivista ai tempi dell’America degli anni ’60.
Lo spunto narrativo per celebrare questa figura storica è la marcia su Washington dell’agosto del 1963, dove Martin Luther King Jr. ha pronunciato il suo più celebre discorso. Rustin è stata la mente morale e organizzativa della protesta pacifica, aprendo la strada per la successiva stagione politica Usa in merito di diritti civili. Osservare come questo lungometraggio abbia dipanato la storia personale dentro al contesto storico del tempo offre allo spettatore una catarsi totalmente immersiva rispetto ai temi essenziali proposti. Rustin è l’espressione più viva della vita: ama, spera, soffre, si arrabbia senza vergogna e senza ritegno, abbracciando anche le sue disfunzioni psicologiche e relazionali. E con lui, anche lo spettatore è portato a vivere, con la medesima intensità, lo stesso ventaglio sentimentale, così come la stessa voglia di cambiamento.
Il film proietta un nuovo grido d’appello verso il raggiungimento e l’ottenimento dell’uguaglianza – pari diritti e pari dignità – per ogni essere umano, attraverso, però, il dialogo e il confronto. Significativa, infatti, la scelta finale dell’opera cinematografica, che immortala il protagonista non nello studio ovale a vendicare la sua vittoria contro i colletti bianchi, bensì al Lincoln Memorial, in mezzo ai suoi giovani collaboratori. Un film adatto a un pubblico +16 per scene violente.