La confessione

Nella palude egoriferita della nuova antropologia contemporanea si pensa di non aver alcun peccato, o perlomeno di non dover affidare la confessione delle proprie mancanze o dei propri errori a qualcuno. Un po’ lo si fa per orgoglio e un po’ per paura del giudizio.
E così, si è smesso di andare dal prete a chiedere il perdono dei propri peccati, ma si è preferito adoperare la via autocratica della dichiarazione volontaria, dove ci si condanna e ci assolve da soli. Questa nuova tendenza è rivedibile non solo nei social, ma anche in televisione.
“La confessione” è un esempio lampante di questa nuova via. Seduto su una sedia, il presentatore Peter Gomez ascolta la confessione dei suoi ospiti, anch’essi accomodati su un’avvolgente poltrona. Le luci soffuse, in concerto con la totale assenza di un pubblico inquisitore, creano un’atmosfera così intima ed accogliente da far sembrare lo studio tv una vera e propria estensione del salotto di casa e l’intervistato una proiezione catartica del proprio io.
Con spirito da cronista Gomez costruisce un lungo e approfondito interscambio, in cui le domande vengono poste per capire, per abbracciare, con indulgenza, l’infinita fragilità umana di chi si ha di fronte. In un colloquio umano emerge, come per magia, uno smascheramento delle sovrastrutture della società odierna.
Lo stesso confessato si spoglia dei suoi archetipi e si libera dinanzi ad un’altrettanta franca personalità, quella di Gomez, che agisce in sottrazione, senza alcuna volontà di sovrasto, verso la sua alterità. Un programma umanitario, adatto ai +16 per i temi proposti.