La legge di Lidia Poët

La serie è ispirata alla storia di Lidia Poët, la prima avvocata italiana. La sua fu una vicenda travagliata: laureata in Giurisprudenza e iscritta all’Ordine degli Avvocati di Torino nel 1883, si vide revocare dopo poco l’iscrizione per la sola “colpa” di essere donna. A nulla valse il ricorso presentato: l’esito negativo la costrinse a lavorare come assistente del fratello Enrico, noto avvocato, quasi per una vita intera. Solo nel 1920 riuscì, grazie ad un’evoluzione della legge, ad iscriversi all’Ordine.
La Lidia Poët della fiction è una donna giovane, coraggiosa, scaltra, che non si ferma davanti a nulla pur di assicurare i colpevoli alla giustizia. Socialmente è all’opposto delle donne dell’alta borghesia del tempo, nonostante anche lei appartenga allo stesso ceto: non le dispiace bere, fumare, usa un linguaggio a volte sboccato, ama la sua indipendenza e sentimentalmente non è stabile.
Questa carenza nelle relazioni deriva da un passato doloroso, legato al forzato abbandono della casa natia per volontà del padre, non incline a tollerare il suo carattere fieramente indipendente e allergico ai condizionamenti sociali. In tal senso, la famiglia non è un punto di riferimento sicuro: non lo è stata quella di origine e non lo è quella del fratello dove Lidia trova ospitalità. Anzi, essa appare avvinghiata a rigidi schemi sociali, mostrandosi talvolta insensibile nei confronti delle reali necessità dei suoi componenti.
La serie è consigliata ai +13, ma appare più adatta agli over 16 per i temi trattati e la presenza di scene esplicite di nudità e sesso.